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  • Una boccata di "Ossigeno"

    di Alberto Spampinato *


    Questa primavera le rondini non sono ancora tornate L’aria è pesante e accadono strane cose. Il premier ha detto che “c’è troppa libertà di stampa”, e vuole ridurla. Accade intanto che una decina di giornalisti sia costretta a vivere sotto scorta, a rischio di assassinio. Accade che altri giornalisti, alcune centinaia, siano costretti a vivere con la paura addosso, a difendersi da minacce, ritorsioni e richieste giudiziarie di risarcimento, punitive ed intimidatorie, per aver pubblicato notizie sgradite a qualcuno, un boss o un personaggio pubblico che ha una concezione sacrale di sé stesso e non vuole che si parli di lui, tanto meno che si parli di lui per criticarlo o metterlo in cattiva luce. Ci sono pubblici amministratori che assediano un giornale perché vuol pubblicare non solo comunicati, ma anche articoli e inchieste (è accaduto al Messaggero).

    Accadono queste e altre strane cose, in un quadro paradossale. Per carità di patria, non se ne parla, non si fa notare la stridente contraddizione fra la libertà eccessiva e quella limitata con la violenza. Con tutti i problemi che abbiamo con l’euro e con le doppie e triple “A”, con i giornali in perdita che stanno “rottamando” giornalisti, mi dicono, ci mancherebbe solo questo! Purtroppo il silenzio favorisce i più forti, i prepotenti, danneggia le vittime. E’ un silenzio pesante a cui si deroga solo quando il giornalista minacciato è un personaggio noto, un volto televisivo, la ‘firma’ di un grande giornale, uno scrittore di successo. In questo caso i giornali si degnano di scrivere qualcosa, ma non parlano di tutti gli altri minacciati, non si schierano, non prendono le distanze dalla maggioranza silenziosa, che dice: “quello se l’è cercata, chi glielo faceva fare?, chi si crede di essere?, avrebbe fatto meglio a star zitto”, e altre frasi peggiori non riferibili. Alla vittima illustre si concede l’opportunità di parlare di sé. Ma guai se, passato il momento della curiosità, chiede ancora attenzione, solidarietà, protezione. Se ha questa debolezza, gli dicono che fa “vittimismo”, che vuole speculare, e gli chiudono la porta in faccia. Il paese in cui c’è troppa libertà di stampa teme di guastare la propria immagine con i piagnistei e con le cose che non vanno. Sorvola perfino sul fatto che le rondini non tornano. Nega che l’aria sia pesante. Non vuole ammettere che si sta creando un clima di intimidazione diffuso, incompatibile con la democrazia; che la paura e il rischio di essere ridotti sul lastrico ammutoliscono i giornalisti, limitano la libertà di stampa e di espressione in Italia e in altri paesi, come si legge nel recente Rapporto UNESCO sui giornalisti uccisi (125 nel mondo nel 2008-2009, oltre l’80 per cento in aree dove non c’è la guerra ). L’UNESCO non cita esplicitamente l’Italia, ma fa osservare che i 125 giornalisti uccisi sono “la punta di un iceberg”. Sotto quel picco c’è una massa infinitamente più grande, di giornalisti minacciati, che subiscono gravi ritorsioni proprio in paesi che non sono in guerra. Il loro numero, sostiene l’UNESCO, cresce perché chi minaccia i giornalisti gode di una sostanziale “impunità”, perché è facile ed esente da rischi mettere a tacere un giornalista con le minacce o con la violenza.

    Il paese in cui c’è troppa libertà di stampa non ama parlare di cose tanto tristi. Questo silenzio distratto e colpevole rende drammatica la solitudine dei minacciati, spinge molti a rifugiarsi nell’auto-censura. che, come ha detto il rappresentante per la libertà di stampa dell’OSCE, Miklos Haraszti durante una sessione del Consiglio d’Europa, “è il vero problema della libertà di stampa” in molti paesi. Non se ne parla, ma intanto il paese in cui “c’è troppa libertà di stampa” ha conquistato fra i 27 paesi dell’Unione Europea il primato per i giornalisti minacciati. Agli oltre duecento casi del 2006-2008, censiti nel Rapporto Ossigeno 2009, se ne sono aggiunti un’altra cinquantina, come segnaleremo nei prossimi giorni nel pre-Rapporto 2010. Cosa deve succedere perché si cominci a parlare di queste e di altre cose? Perché si presti attenzione ai piccoli e grandi episodi di scostamento dalle regole? Quelli che segnala, ad esempio, “Paradossopoli”, edizioni Vertigo, il candido libro di Alessandro Migliaccio, il cronista di Napoli schiaffeggiato in pubblico dal comandante dei vigili di Napoli. Alessandro racconta 14 paradossali episodi del mondo a rovescio in cui vive. Gli altri lasciano correre. Invece lui non si rassegna. In un paese in cui tutti fanno finta di niente, dice, tutto andrà sempre per il verso sbagliato.

    * Direttore di Ossigeno per l’informazione, osservatorio della FNSI e dell’Ordine dei Giornalisti sui cronisti minacciati e le notizie oscurate con la violenza

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